APPROCCIO

La cooperazione di comunità che caratterizza il modus operandi dell’Associazione fa sì che ogni attività coinvolga numerosi partner sia in Trentino che a Prijedor. l’APP ha sempre privilegiato, infatti, un approccio partecipativo alle proprie scelte progettuali al fine di rendere il più possibile sostenibili gli interventi. Nell’elaborazione dell’ultimo programma di attività di cooperazione decentrata e comunitaria fra il Trentino e i Balcani 2014-2016 (Orizzonti di Reciprocità), in particolare, si è utilizzato quale orizzonte di senso il sistema di relazioni territoriali Trentino-Balcani al quale si è chiamati a lavorare in vista degli obiettivi delineati dalle politiche di indirizzo di Europa 2020. L’area Balcanica è considerata, infatti, strategica per le politiche di sviluppo a livello europeo e promuovere la cooperazione comunitaria nei Balcani significa anche cercare di realizzare azioni capaci di facilitare i paesi di quest’area nell’accesso all’UE e a processi di cooperazione euro-mediterranea. Tale riferimento ha consentito l’elaborazione di un programma d’intervento strutturato in aree (ognuna delle quali è il risultato di consultazioni e confronti con i partner locali), che lavora strategicamente su:

AREE DI INTERVENTO

GIOVANI
CULTURA E MEMORIA
DIRITTI E INTEGRAZIONE SOCIALE
CITTADINANZE ATTIVE E RELAZIONI
SVILUPPO ECONOMICO

 

La vera sfida per la cooperazione oggi è andare oltre la dinamica della relazione d’aiuto e trasformarsi in un impegno concreto nel costruire una nuova cittadinanza mondiale. Il coinvolgimento della società – e soprattutto dell’opinione pubblica – non può quindi prescindere dal tema dell’Educazione alla Cittadinanza Globale. Lo sforzo di valutare l’impatto delle proprie azioni trova quindi oggi una giustificazione più profonda nella necessità di comunicare alla società i risultati dei propri sforzi per creare un nuovo consenso sulla Cooperazione.

In maniera trasversale si intende, quindi, promuovere il dibattito presso la società civile, le istituzioni e la cittadinanza sul tema della cooperazione multi stakeholders (con particolare riferimento al dialogo con il settore privato), dell’impresa sociale e della cittadinanza attiva in una dimensione locale, regionale ed europea, responsabilizzando quanto più possibile gli attori locali a Prijedor e, più in generale, nella Bosnia Erzegovina che vengono sempre più chiamati a partecipare, anche economicamente, per la realizzazione dei progetti di utilità sociale e di sviluppo socio-culturale ed economico.

CONTESTO

I BALCANI

Il ”limes” dell’Unione europea si è stabilizzato nel cuore dei Balcani, sugli oltre 1.300 chilometri dell’esteso confine di terra che separa la Croazia, appena sorta 28esima stella dell’Unione, dal resto della regione. E oltre la frontiera c’è chi si augura di seguire un giorno le orme di Zagabria. Tuttavia, la strada verso l’Ue sembra essere ancora lunga per la Bosnia-Erzegovina, a causa di un’economia in panne e di una situazione politica incapace di risolvere i problemi concreti dei suoi quasi quattro milioni di cittadini, due sfide importanti, sulle quali dovrà misurarsi anche il nuovo Governo bosniaco, dopo le elezioni di ottobre 2014. La situazione, nel corso dell’ultimo anno, inoltre, sembra ancora più al limite se si pensa al fatto che corruzione e crimine organizzato nei Balcani sono al centro del programma europeo a guida italiana avviato a Settembre 2014 a Sarajevo con l’arrivo di un esperto del Ministero dell’Interno Italiano. Il progetto prevede scambio di informazioni e tecniche investigative con tutti i Paesi dei Balcani ed è finanziato con fondi UE (Instrument of Pre Accession) per 5 milioni di euro.

L’iniziativa si inserisce nel solco della collaborazione fra l’Italia e la Bosnia Erzegovina nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia per il contrasto alla criminalità organizzata transnazionale. Il quadro è quello di un Paese ancora frammentato su base etnica, diviso in due entita’ autonome – la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska – con debolissime istituzioni centrali non idonee a portare avanti le riforme richieste dall’Ue. Riforme-chiave come quelle, ricordano i documenti della Delegazione dell’Ue in Bosnia, della legge sugli aiuti di Stato alle imprese e soprattutto quelle che dovranno portare al pieno rispetto della sentenza anti-discriminazione della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Sejdic-Finci, specifica un rapporto di Human Rights Watch.

La Bosnia-Erzegovina, nel frattempo, rimane sospesa in un limbo. L’unica reale conquista ”europea” della sua classe dirigente è stata quella di convincere Bruxelles ad abolire, nel 2010, l’obbligo dei visti per i cittadini che vogliono viaggiare per turismo in Europa. Troppo poco, anche perchè non sono tanti i bosniaci che possono permettersi di lasciare il Paese per svago. I numeri parlano fin troppo chiaro: il PIL pro capite della Bosnia-Erzegovina e’ solo il 28% di quello della media Ue a 27, superata di poco anche dall’Albania (30%), dalla Serbia, dalla Macedonia (35%) e dal Montenegro (42%). La disoccupazione si attesta intorno al 40%, mentre un 20% circa della popolazione vive a cavallo della soglia di povertà (Fonti:Eurostat).

La disoccupazione è in parte mitigata dall’occupazione in settori informali, ma la riconversione di queste larga fascia di lavoratori occupati nelle attività informali e la loro inclusione nel mercato del lavoro ufficiale rappresenta una sfida cruciale per il paese. Inoltre, il livello di disoccupazione effettiva varia raggiungendo picchi particolarmente elevanti nella fascia giovanile della popolazione (63.1% per i giovani fra i 15  24 anni). L’economia, infine, dopo la recessione del 2012 crescerà solo di uno 0,5% quest’anno, ricorda la Banca Mondiale, rallentata dalla crisi nell’Ue ma anche da un debole business environment e da una politica fiscale non sostenibile nel lungo periodo, focalizzata più sulla redistribuzione del reddito che sulla crescita (dati ANSA 2013).

LA BOSNIA

A 18 anni dalla fine del conflitto la Bosnia Erzegovina è ancora segnata dalla pesante eredità del conflitto sotto molti punti di vista. Nonostante le risorse e gli sforzi da parte della comunità internazionale, nel paese persistono ostacoli significativi alla stabilizzazione di uno stato multietnico e democratico. La Bosnia Erzegovina si colloca al 74° posto nell’Indice di Sviluppo Umano stilato da UNDP. Secondo i dati UNDP, il paese presenta una situazione intermedia fra paesi ad elevato sviluppo umano e paesi sottosviluppati. Tuttavia, rimangono problematiche specifiche legate al contesto post-bellico e al sistema politico imperniato sulla rappresentanza etnica.

Dal punto di vista politico la Costituzione del paese, parte integrante degli Accordi di Dayton, è alla base della complessa architettura istituzionale del paese, che causa inefficienze ed è costantemente minacciata da appelli politici di carattere nazionalista. La complessità del processo decisionale continua a rallentare le riforme richieste dall’UE per l’avanzamento del processo di integrazione. I tentativi di riforma costituzionale non hanno finora portato ad alcun successo per via dei veti incrociati e dell’ostruzionismo politico da parte dei maggiori partiti di rappresentanza etnica.

Dal punto di vista economico l’adozione delle leggi finanziarie per il 2011 e 2012 è stata rallentata dalla crisi di governo, minando ulteriormente la sostenibilità e credibilità delle politiche fiscali nel paese. Le capacità produttive rimangono deboli poiché le risorse locali non sono adeguatamente valorizzate ed esistono carenze infrastrutturali croniche che ne prevengono il pieno utilizzo.

La situazione del mercato del lavoro è allarmante. Le rigidità economiche e strutturali e l’inefficienza dell’amministrazione rallentano la creazione di posti di lavoro. La disoccupazione rimane molto alta, e il tasso di partecipazione nel mercato del lavoro basso, ad indicare che una porzione significativa della popolazione potenzialmente attiva è scoraggiata a priori e non intraprende la ricerca di un’occupazione formale.

Per quanto riguarda la tutela dei diritti umani, diversi aspetti rimangono problematici. La Corte Europea per i Diritti Umani si è espressa nel 2009 sul caso Sejdic-Finci dichiarando che alcune parti della Costituzione della BiH sono incompatibili con la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. La costituzione della BiH prevede che solo cittadini Bosniaci, Serbi e Croati possano concorrere per l’elezione alla presidenza tripartita e alla camera dei Popoli, discriminando in questo modo i cittadini appartenenti alle minoranze (ucraini, cechi, rom, ecc.).. L’Unione Europea ha posto come un prerequisito fondamentale nel processo di integrazione l’adeguamento della Costituzione ai principi europei. Le modifiche tuttavia tardano ad essere adottate.

Persistono diverse e preoccupanti forme di discriminazione contro le minoranze sessuali (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali). Il movimento LGBT, nella sua lotta per il riconoscimento dei propri diritti civili e di non discriminazione, si pone potenzialmente come uno dei movimenti più efficaci nel superare barriere ed appartenenze nazionali ed etniche. Attivisti in questo ambito continuano a subire minacce, e attitudini discriminatorie permangono nei media anche da parte di rappresentanti politici.

Nel campo dell’educazione si registrano pochi miglioramenti. Il sistema educativo nel paese rimane diviso (“due scuole sotto lo stesso tetto”). I programmi educativi sono differenti nelle due entità, un aspetto particolarmente problematico non solo perché determina la mancanza di omogeneità nella preparazione degli studenti, ma anche e soprattutto perché i diversi programmi, soprattutto nelle materie storiche, perpetuano memorie divise che costituiscono un ostacolo alla riconciliazione nel paese.

Pochi progressi sono stati fatti anche nell’ambito del miglioramento delle condizioni per le persone con disabilità. Sia in Republika Srpska che in Federazione sono state approvate leggi in quest’ambito, ma loro implementazione procede a rilento.

Per quanto riguarda i rifugiati e gli sfollati (internally displaced persons) alla fine del 2011 si trovavano nel paese circa 113.000 sfollati, dei quali circa 8.000 residenti in centri collettivi,  e  7.000 rifugiati. Alcuni passi significativi sono stati compiuti per arrivare alla chiusura dei centri collettivi ed offrire finalmente la sistemazione in abitazioni con condizioni abitative adeguate, mentre rimangono da affrontare altri aspetti rilevanti per questo gruppo di popolazione, come l’accesso alla protezione sociale, all’educazione ed il diritto al lavoro. Nel paese mancano politiche condivise a sostegno del ritorno e dell’integrazione.

Inoltre, in Bosnia si osserva anche con una certa apprensione l’adesione della vicina Croazia all’Ue a causa di possibili ricadute negative per Sarajevo e Banja Luka. Tra le ricadute più gravi ricordiamo il fatto che la Bosnia-Erzegovina non potrà più esportare latte e prodotti caseari ma anche molti tipi di agroalimentari in Croazia, come in precedenza, un mercato che vale circa 30 milioni di euro all’anno, spiega ad ANSA Nuova Europa Srecko Latal, analista dell’International Crisis Group per la Bosnia. Latal ricorda che l’associazione dei produttori della Republika Srpska potrebbe presto scendere in piazza per protestare perche’, a loro dire, il governo in Bosnia non avrebbe fatto nulla per preparare il Paese al nuovo scoglio.

Altro importate dato di contesto è che a novembre 2013 le autorità bosniache hanno pubblicato i primi dati del censimento, il primo dalla fine della guerra (l’ultimo, come noto, si era avuto nel 1991, quando la Bosnia Erzegovina non si era ancora resa indipendente dalla Jugoslavia). Le statistiche non rendono nota la composizione etnica del paese (nelle ultime settimane, partiti e associazioni hanno sciorinato le ‘proprie’ statistiche circa la presenza dei vari gruppi nazionali in Bosnia Erzegovina, ma si tratta regolarmente di illazioni senza nessun tipo di fondamento) né ulteriori dati sulle loro caratteristiche economiche, ma si ‘limitano’, per il momento, a quantificare gli abitanti del paese secondo la propria area di residenza.

Per avere una fotografia completa della popolazione bosniaca occorrerà attendere ancora un anno e mezzo. Per il momento, però, è già possibile quantificare quella che il periodico bosniaco ‘Slobodna Bosna’ ha definito, dati alla mano, «la più grande catastrofe demografica nella storia del paese», e che è costata, in un ventennio, quasi seicentomila abitanti. La popolazione bosniaca è, oggi, infatti solamente di 3.791.622 abitanti (e le prospettive non sono rosee: secondo un rapporto dell’ONU, essa finirà per dimezzarsi nell’arco dei prossimi cinquant’anni): più o meno il livello che essa aveva raggiunto nel 1971.

Dal punto di vista demografico, la Bosnia Erzegovina ha perso quarant’anni. Nel territorio che corrisponde alla Sarajevo d’anteguerra vivono oggi, sempre secondo le stime riportate da ‘Slobodna Bosna’ 504.000 persone, ovvero circa 22.000 in meno che nel 1991. Nell’attesa dei dati più completi, queste sono state le variazioni di abitanti nelle altre principali aree urbane bosniache, in ordine di popolazione.

PRIJEDOR

La Municipalità di Prijedor si trova nel nord-ovest della Bosnia Erzegovina, nell’entità della Republika Srpska. La Municipalità comprende la città di Prijedor e altri centri minori e aree rurali e montuose, con una popolazione di quasi 100.000 abitanti.

La struttura delle nazionalità di Prijedor nel 1991, al principio della guerra, si presentava così: 43,85% circa di bosgnachi, 42,27% circa di serbi e il restante 10% suddiviso tra le altre minoranze (croati, ucraini, cechi, rom, ecc.). Con i drammatici eventi bellici, la componente bosgnaca è stata drasticamente ridotta fino alla sua quasi scomparsa sul territorio. Durante il conflitto, inoltre, la città di Prijedor ha visto l’affluire di numerosi sfollati e profughi serbi delle Krajine bosniache e croate, aumentando il numero di abitanti serbi ma introducendo allo stesso tempo una componente della popolazione originaria di altre regioni.

Negli anni del dopoguerra, la situazione è andata ulteriormente modificandosi con l’inizio del rientro della componente bosniaco-musulmana soprattutto a partire dal 2000. A Prijedor sono rientrate circa 25.000 persone (delle quali circa 10.000 pendolano con i propri domicili nei paese europei), di nazionalità bosniaco-musulmana a fronte di circa 50.000 colpite dalla pulizia etnica. La presenza sul territorio della municipalità di Prijedor di profughi di nazionalità serba si è andata riducendo, dai 38.000 alla fine della guerra ai 18.000 di oggi.

La situazione di Prijedor è caratterizzata dalla ripresa della convivenza tra gruppi etnici: essa si manifesta in modo esplicito nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei servizi pubblici, in alcune associazioni che si definiscono coraggiosamente multietniche. Tuttavia tensioni o difficoltà al dialogo tra i gruppi persistono, anche come effetto di un’instabilità politico amministrativo della Bosnia Erzegovina e dell’intera regione dell’ex-Jugoslavia.

Da qui la necessità di continuare a sostenere il processo di coesione sociale, condizione indispensabile per la rinascita sociale e civile, attraverso le attività legate al Forum Civico, allo sviluppo culturale, alla promozione di occasioni di elaborazione delle cause del conflitto e alla promozione dell’associazionismo.

La situazione economica della Municipalità di Prijedor si inserisce nella cornice che segna la BiH a diciotto anni dalla fine della guerra. E’ un paese sospeso, lacerato dalle proprie contraddizioni e dai propri fantasmi.

Un paese straordinariamente ricco di risorse naturali – l’acqua dei fiumi verde smeraldo che scorre ovunque, i boschi come non trovi in nessuna altra parte d’Europa – ma prima ancora di storia e di cultura, di tradizioni e di saperi, di città straordinarie come Sarajevo o Mostar che questa storia continuano a raccontare, nonostante tutto. Eppure nel dopoguerra sono cresciute le condizioni di povertà. La criminalità economica dagli affari della guerra è passata a gestire quelli della ricostruzione, aiuti compresi. Così come si parla ormai apertamente di fallimento del castello istituzionale che gli accordi di Dayton hanno costruito.

Questa situazione si riflette nella realtà di Prijedor, tanto sul piano politico quanto su quello economico e sociale. L’attività produttiva sta riprendendo lentamente ma la maggior parte delle attività imprenditoriali continuano a riferirsi al commercio e alla ristorazione, l’opposto cioè di una prospettiva di sviluppo sostenibile ed autocentrato. Da qui la necessità di percorrere la strada dello sviluppo endogeno, basato sulle risorse locali, dove agricoltura, zootecnia, indotto di servizi, artigianato e industria di trasformazione, ma anche turismo rurale, siano parte di progetti integrati e partecipati. A questa necessità il Progetto Prijedor vuole rispondere attraverso le iniziative di promozione di uno sviluppo che sia in primo luogo locale e sostenibile, ovvero di una qualità dello sviluppo che si concretizzi con il sostegno a realtà come l’associazione agricoltori, attività di microcredito, attività di formazione per giovani imprenditori, promozione di attività imprenditoriali basate sul rispetto dell’ambiente e le energie rinnovabili. In particolare nel corso degli ultimi anni abbiamo sostenuto un’azione di stimolo culturale verso la coesione economica e sociale sul piano locale attraverso un confronto sull’esperienza dei patti territoriali su cui ci sembra importante continuare a collaborare.

Casi di povertà estrema sono una caratteristica dominante nella municipalità di Prijedor, situazione che colpisce in modo particolare le persone anziane sole, come in gran parte della Bosnia Erzegovina. I disoccupati registrati nella Municipalità di Prijedor sono circa 13.000 e questa situazione colpisce tutti i settori della popolazione, ma soprattutto i giovani, e mette a rischio la sostenibilità stessa di questa società.  In particolare la disoccupazione colpisce i più giovani perché non dà loro validi motivi per restare su questo territorio. Il rischio è che la BiH e Prijedor perdano la generazione più produttiva e importante per la rinascita del paese. Gli inoccupati nella Municipalità di Prijedor sono circa 13.000 (ovviamente tutti questi dati non prendono in considerazione l’economia sommersa e sono suddivisi in 11.000 disoccupati che cercano lavoro e 2.000 che cercano solo il sostegno statale). L’amministrazione locale considera però un successo il fatto che la disoccupazione non sia aumentata nel corso di questi ultimi anni.

Le alluvioni 2014 e l’aggravarsi della situazione economica

Quella accaduta con le precipitazioni intense della prima metà di maggio è stata per i Balcani, l’alluvione più devastante degli ultimi 120 anni. Ha fatto 44 vittime (ma forse di più). Il vortice ciclonico avuto nei giorni tra il 10 e il 15 maggio ha scaricato su larga scala fino a 150-250 mm di pioggia, con picchi locali di 300mm.

La situazione più critica ha coinvolto anche Prijedor e, molte delle attività, in corso di svolgimento nell’ambito del programma di interventi OdR 2014, nei giorni di piena della Sana e nei giorni di emergenza che li hanno seguiti, sono state declinate in modo da rispondere a bisogni emergenti concreti.

Le enormi quantità d’acqua che hanno causato inondazioni senza precedenti in Bosnia, hanno, inoltre spostato i campi minati e gli ordigni inesplosi, facendo aumentare ulteriormente il già esistente pericolo di mine, residuati della guerra 1992-95, che finora hanno ucciso 600 persone e ferito o mutilato altre 1.126 vittime.

Dice l’ANSAmed che “a Prijedor, nell’ovest del Paese, la piena ha portato nel cortile di una casa, un frigorifero al cui interno c’erano 9 bombe a mano. Intanto, le squadre operative della BHMAC, che chiede aiuti internazionali in fatto di equipaggiamenti, sono costantemente sul campo per rinnovare le segnalazioni dei campi minati e raccogliere informazioni sugli spostamenti degli ordigni” (http://www.ansamed.info del 21 Maggio 2014).

Tuttavia, l’emergenza non ha soltanto provocato distruzione e morte ma ha avuto, se non altro, il merito di evidenziare la grande solidarietà delle Istituzioni e degli abitanti trentini che, fin dal primo minuto dell’ “emergenza alluvione”, sono stati uniti per prestare i primi aiuti e per raccogliere il materiale necessario ad aiutare gli sfollati. Al riguardo, merita particolare menzione il progetto Emergenza alluvione, realizzato in partenariato con la Provincia Autonoma di Trento, grazie al quale è stata ristrutturata la scuola di Gomjenica (Si veda Azione E.5 – Ristrutturazione Scuole del programma di interventi) che aveva subito ingenti danni.