Prijedor

Solidarietà europea: insieme per la Giornata delle fasce bianche

Solidarietà europea: insieme per la Giornata delle fasce bianche

 

Jer me se tice_Prijedor
La giornata delle fasce bianche, in un’edizione di qualche anno passata. Foto tratta dalla pagina facebook dell’associazione “Jer me se tiče

Si è tenuta ieri in molte città europee la Giornata delle fasce bianche, per mantenere viva la memoria delle vittime della pulizia etnica a Prijedor. Ne parla Edvard Cucek in un articolo già apparso nel sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa

Anche quest’anno alcune città della Regione Trentino-Alto Adige assieme ad altre città italiane prenderanno il loro posto in fila del lungo elenco delle città mondiali che ogni 31 maggio solidarizzano con la città bosniaca di Prijedor, solidarizzano con i suoi cittadini – purtroppo non tutti – nella loro battaglia contro la discriminazione, contro il negazionismo e per il diritto alla memoria.

Per il diritto di ricordare le vittime civili e innocenti

Tutto è partito il 31 maggio 2012 con la “ribellione pacifica” di un giovane cittadino di Prijedor di nome Emir Hodžić che si mise a “protestare” in silenzio nella piazza principale di questa città bosniaca conosciuta per la terribile pulizia etnica che vi è avvenuta.

Quel giorno di maggio Emir che se ne stava immobile con una fascia bianca al braccio e davanti ad un sacco semivuoto con sopra una rosa, ha manifestato contro il silenzio di omertà e il silenzioso negazionismo.

Venti anni prima una giunta guidata dai serbo-bosniaci aveva preso il potere in città dopo aver rovesciato il governo legalmente eletto alle prime elezioni democratiche nella Bosnia Erzegovina indipendente: ai cittadini non serbi della municipalità di Prijedor venne imposto di segnare le proprie case con un lenzuolo bianco e quando uscivano di casa di indossare una fascia bianca. Fu il primo passo verso la pulizia etnica che si scatenò di lì a poco.

Una fascia bianca sul braccio con davanti un sacco bianco semi vuoto e sopra appoggiata una rosa: Emir restò così nemmeno un’ora, in silenzio assoluto. Silenzio che tuonava sopra le vie del centro storico. Nessuno gli chiese né perché né che cosa facesse. Fu chiaro a tutti che cosa invocava questo ragazzo muto e immobile. Nemmeno le forze dell’ordine, poco dopo inviate in piazza, gli contestarono niente e non gli imposero di interrompere questa insolita “performance”, come i giornali locali la chiamarono successivamente.

Il suo fu un gesto per ricordare le 256 donne innocenti uccise a Prijedor dal 1992 al 1995, i 102 bambini uccisi, tutte le vittime civili dei tre campi di concentramento, 31.000 persone vi vennero internate, 3000 di queste vennero uccise. Per non perdere la memoria di quella vergognosa ordinanza che ricorda molto la Germania nazista degli anni Trenta.

Le reazioni

La storia delle fasce bianche fu così risvegliata, a dieci anni di distanza. Già dall’anno successivo vi fu una risposta massiccia anche nelle altre città bosniaco erzegovesi. Il sindaco di Prijedor di allora e tutta la sua giunta comunale iniziarono a comprendere che i tempi per fare i conti con il passato erano arrivati.

Ma la loro risposta non fu minimamente adeguata e per nulla solidale. Anzi, gli organizzatori, a quell’epoca semplici cittadini e una sola associazione, “Kvart” che aveva avuto il coraggio di sostenere la causa, vennero accusati di tentativi di destabilizzazione della municipalità e di false interpretazioni del doloroso passato. E ricevettero molte minacce.

La risposta della cittadinanza fu la nascita dell’iniziativa “Jer me se tiče” (Perché mi riguarda) che riuscì ad unire diverse realtà dell’associazionismo locale anche di orientamenti diversi. Tutti uniti nel desiderio di togliere questa piaga della vergogna dalla loro città e di cominciare il doloroso percorso della riconciliazione e di una almeno parziale condivisione del passato.

Già due anni dopo, esattamente il 25 novembre del 2014, uno degli organizzatori della prima silenziosa protesta del 2012, Fikret Bačić, presentò una richiesta alla municipalità di Prijedor, avanzata dai genitori delle 102 vittime minorenni e firmata da 1175 cittadini di Prijedor, sostenuti da altre 242 persone non residenti a Prijedor, per la concessione di un luogo dove poter erigere un monumento in ricordo dei loro figli.

La richiesta è stata fino ad oggi ignorata – e in certi momenti anche ostacolata – dalle autorità comunali. Questo nonostante i tentativi di mediazione da parte di diversi soggetti esteri presenti sul territorio bosniaco da tanti anni: Osce, Amnesty International e tante altre associazioni. Una lettera di richiesta d’aiuto firmata dai genitori delle vittime minorenni fu inviata negli anni scorsi addirittura al sindaco di Trento, allora Alessandro Andretta, affinché intervenisse come sindaco di una città italiana molto amica di Prijedor.

La giornata della fasce bianche oggi

La Giornata, ormai internazionale e giunta alla decima edizione, oggi ha come protagoniste circa 80 città in tutto il mondo che in vari modi ricordano i drammatici fatti di quel 31 maggio 1992 richiamando l’attenzione su quelle ingiustizie e discriminazioni che tanti esseri umani su questo nostro pianeta vivono quotidianamente.

Trento, città dove io abito, ha promosso quest’iniziativa per la prima volta nel 2108. Fu voluta dalle associazioni “46° Parallelo” e “Trentino con Balcani” in collaborazione con il “Forum Trentino per la Pace e Diritti Umani e l’associazione “Progetto Prijedor” e fu un’iniziativa subito sostenuta anche da OBCT, dagli Scout trentini e da tanti altri.

È una della poche città che partecipano che non ha tra gli organizzatori alcuna associazione di profughi/cittadini bosniaci. Nella maggioranza dei casi infatti l’impulso iniziale è partito proprio da loro. E questo fa onore al senso di solidarietà della mia città alpina.

Intanto a Prijedor, proprio quest’anno, Fikret Bačić potrebbe finalmente indicare ai presenti il posto dove, ancora non ufficialmente, potrebbe sorgere un piccolo monumento ai nostri piccoli che non abbiamo saputo proteggere. E io mi auguro che molte altre città italiane scenderanno presto tra le fila di coloro che non vogliono essere indifferenti. Insieme come italiani, come europei e come esseri umani.

 

L’autostrada per sotterrare gli Accordi di Dayton

L’autostrada per sotterrare gli Accordi di Dayton
Gli abitanti dei villaggi nei dintorni di Prijedor protestano contro il progetto di tratto autostradale che collegherebbe la città a Banja Luka. Secondo i protestanti, il progetto andrebbe a penalizzare solo la comunità bosgnacca. Il racconto di Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 21 settembre 2020 (clicca QUI per andare all’originale).

Immagine in homepage tratta dal sito prijedordanas.com.

Con una manifestazione tenuta lo scorso 3 settembre gli abitanti dei paesi limitrofi alla città di Prijedor, Bosnia occidentale – Kozarac, Kozaruša, Kamičani e Kevljani – hanno nuovamente inviato un pacifico e inequivocabile messaggio alle autorità locali e a quelle della Republika Srpska, una delle due Entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina: sono contrari al progetto della tratta autostradale che da Banja Luka (centro amministrativo della entità RS) dovrebbe collegare Prijedor e che dovrebbe attraversare proprio i suddetti comuni.

Dal sito BHRT
Dal sito BHRT

Le manifestazioni, come anche in passato, hanno avuto luogo a Kozarac, lungo la strada statale che attraversa il paese. Le richieste dei cittadini di questi quattro villaggi a maggioranza bosgnacca sembra non trovare però riscontro nelle autorità. In queste aree gli abitanti sono in stragrande maggioranza dei rientranti dall’esilio dopo le vicende della pulizia etnica e dei campi di concentramento nei quali la maggior parte della popolazione maschile non serba sopravvissuta alle prime azioni dell’esercito dei serbo bosniaci fu imprigionata.

Il progetto dell’autostrada andrebbe a colpire secondo i manifestanti alcune garanzie date ai ritornanti negli Annessi VI e VII degli Accordi di Dayton, che misero fine nel 1995 al conflitto in Bosnia Erzegovina.

Gli Annessi classificano i territori di questi quattro villaggi e parzialmente quello di Trnopolje come “zone di particolare interesse dello stato di Bosnia Erzegovina” in quanto la loro intera popolazione durante la guerra degli anni Novanta fu spazzata via dalla pulizia etnica e sottoposta ad uccisioni e torture nei tre vicini campi di concentramento: Keraterm, Trnopolje e Omarska.

Una volta rientrati, all’inizio degli anni 2000, i sopravvissuti di questi paesi hanno iniziato la ricostruzione dei loro paesi precedentemente rasi al suolo. Inizialmente con i propri mezzi e con quelli della comunità internazionale, senza particolari aiuti dell’entità bosniaca RS. Successivamente con qualche aiuto statale. In pratica in quella zona non esistono più case costruite prima del 1999/2000.

L’autostrada che taglia per collegare

Ora molte di quelle case ricostruite, si parla di un centinaio, e molti terreni agricoli, sono minacciati dalla tratta autostradale. Il 3 settembre i manifestanti hanno sottoscritto una nova lettera indirizzata al ministero delle Infrastrutture della Republika Srpska in cui si sottolinea l’anomalia di un progetto che crea così tanti danni a privati, agricoltori e allevatori di bestiame nonostante siano possibili molti percorsi alternativi. Non si può non notare che tutti i più colpiti appartengano alla comunità bosgnacca.

“Siamo insoddisfatti. Non abbiamo ricevuto risposte alle nostre richieste. Continueremo le nostre proteste. Questa nostra battaglia non finirà. Le famiglie non sono d’accordo che le loro proprietà vengano espropriate e le abitazioni demolite. Inoltre gli abitanti di ogni casa nella cosiddetta ‘cintura protettiva autostradale’ dovranno essere sfrattati e ce ne sono molti. Nessuno vivrà in una casa consapevole del rischio che in ogni istante qualcuno possa finire nella sua camera da letto con un camion o una macchina”, ha dichiarato al portale Prijedor24.com Sabahudin Garibović, tra gli organizzatori delle proteste.

“Nessuno qui vuole vendere la sua proprietà, nemmeno io. Lasciando da parte il numero elevato delle case da demolire, 97 addirittura, questa zona è conosciuta per la produzione del latte e anche quella sarà destinata a morire una volta che i nostri campi verranno attraversati dall’autostrada. La fauna, la flora e alcune riserve di caccia saranno distrutte e la sopravvivenza di tante famiglie verrà messa a rischio”, ha concluso Garibović.

Anche per quanto riguarda i terreni agricoli la soluzione proposta dal ministero delle Infrastrutture pare irragionevole. Molti poderi verrebbero tagliati in due impedendo l’accesso ai campi da coltivare ai proprietari stessi, costringendoli a percorrere distanze non indifferenti per accedervi.

Percorsi alternativi

Da quando il progetto della costruzione di questa tratta autostradale data in concessione alla compagnia cinese SDHS-CSI BH è stato reso pubblico non sono mancate proposte alternative. Tra queste l’ipotesi che l’intera tratta venisse spostata sul monte Kozara, con relative gallerie, oppure passasse da alcuni stagni ai suoi piedi, già di proprietà statale. Anche se all’inizio non è stata scartata, oggi sembra un’ipotesi lontana dall’essere presa in considerazione.

Oltre a queste due, vi sarebbero altre soluzioni che prevedono l’affiancamento dell’attuale strada statale, che attraversa anche villaggi serbo-bosniaci. Soluzione ritenuta equa dai bosgnacchi ma fuori discussione da parte serbo-bosniaca.

In una situazione di stallo il clima si sta riscaldando anche nei circoli della politica locale. Il segretario della sezione di Prijedor dell’SDA (Partito d’azione democratica, con a capo Bakir Izetbegović), Mesud Trnjanin, ha invitato tutti i vertici della politica nazionale e locale, non lasciando fuori nemmeno l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko, a contribuire attivamente per trovare una soluzione alternativa accettabile a tutti i cittadini.

Trnjanin sostiene che la “popolazione dei rimpatriati”, in questo caso bosgnacchi, deve godere la tutela garantita dagli Accordi di Dayton. “Eventuali espropri di terreni agricoli o di case non possono essere considerati diversamente da un attacco diretto agli accordi di pace di Dayton e al processo di restituzione delle proprietà”, ha affermato Trnjanin ribadendo la propria fiducia nelle istituzioni bosniache e nella comunità internazionale.

Inno all’insostenibilità

Il progetto di collegare Banja Luka e Prijedor attraverso una tratta autostradale è stato fortemente voluto dall’allora premier del Governo della RS e oggi membro della Presidenza tripartitica della Bosnia Erzegovina Milorad Dodik.

Nel 2019 un’indagine giornalistica effettuata da Svjetlana Šurlan, giornalista del portale Capital – e con la quale si aggiudicò il Premio “ACCOUNT”  consegnato ogni anno ai giornalisti che contribuiscono, tra l’altro, anche nello smascherare la corruzione nel pubblico e nel privato – ne aveva messo in luce i costi esorbitanti ed insostenibili.

Ad avviso della giornalista il progetto di collegamento autostradale Prijedor-Banja Luka non sarebbe altro che un’utopia con un alto costo fisso annuale a carico dei contribuenti.

Šurlan ha messo in allerta l’opinione pubblica sul fatto che il governo della RS, senza un’analisi valida e seria sui flussi di traffico, ha stipulato un contratto con il partner cinese garantendo l’incasso di 60 milioni di marchi all’anno (circa 30 milioni di euro) che, nel caso dovesse essere inferiore, verrebbe ripianato dal bilancio dell’Entità.

Šurlan sottolinea che l’ultimo conteggio dei flussi di traffico su quella tratta risalgono al 2015 e che nemmeno nelle più rosee aspettative possono garantire le cifre accordate. La giornalista nella sua analisi fa riferimento anche al caso delle autostrade della vicina Croazia che, pur molto più trafficate e non paragonabili grazie alla lunga stagione turistica estiva, non sono comunque autosufficienti. Per questo Svjetlana Šurlan definisce questo progetto un progetto politico piuttosto che un’azione intrapresa per il bene comune e per migliorare le infrastrutture.

Il partner cinese dovrebbe costruire 42 chilometri di autostrada per un valore totale di 297 milioni di euro. Questi verrebbero poi rimborsati attraverso una concessione per 30 anni con un incasso annuale garantito di trenta milioni di euro, per un totale, quindi, di 900 milioni di euro: un progetto quindi con gravi conseguenze sulla convivenza tra comunità, sull’ambiente e sulle tasche dei cittadini.

Darko Cvijetić- Lo scrittore e il suo romanzo “sott’accusa”

Darko Cvijetić- Lo scrittore e il suo romanzo “sott’accusa”
Il libro di un poeta e scrittore di Prijedor, Darko Cvijetić, solleva polemiche sulle vicende tragiche che negli anni ’90 hanno colpito la città.  Dello scrittore, della sua ultima opera e delle ferite ancora aperte di Prijedor ci parla Edvard Cucek in un articolo già apparso su Osservatorio Balcani e Caucaso il 23/04/2020 (clicca qui per vedere l’articolo).

Cvijetic e il suo libro Schindlerov lift, tratto dal sito dell'editore Prometej
Cvijetic e il suo libro Schindlerov lift, tratto dal sito prometej.ba

(immagine in homepage tratta dal sito hiperboreja.blogspot.com)

Darko Cvijetić è uno scrittore di prosa e poesia. Drammaturgo, attore e regista bosniaco nato il 11.01. 1968 a Rudnik –Ljubija nei pressi della città Prijedor (Bosnia ed Erzegovina). Anche se la sua carriera effettivamente ebbe inizio ancora prima degli eventi che segneranno la sua città di Prijedor in modo tragico e indelebile lui nel mondo della letteratura sarà “scoperto” soltanto nei primi anni duemila con la raccolta  dei brevi racconti di nome “Manifest Mlade Bosne” (Manifesto di Mlada Bosna) –Prometej – Novi Sad.

Che scrivere di qualsiasi tema riguardante quanto accaduto nei primi anni novanta sul territorio di Prijedor è un lavoro non appagante, spesso anche pericoloso, negli anni precedenti è stato più volte ribadito e diversi giornalisti né sanno qualcosa.

Tra gli altri ci sono anche questi temi che nelle poesie e racconti di questo autore molto insolito ci vengono riproposti. Quanto questa sua scelta gli rende la vita non invidiabile, essendo ancora residente nella sua città natale e non appartenendo nominalmente alla etnia di maggioranza (da quelle parti serbo bosniaca), non sarà una grande scoperta. A parte questa routine, del lavoro ad alto rischio, il suo ultimo romanzo di prosa intitolato “Schindelrov lift” (L’ascensore di Schindler) pare stia diventando un problema oltre agli scontri quotidiani dei nazionalismi locali sempre impegnati nel identificare le vittime e dimenticare i carnefici tra le proprie fila e viceversa quando si tratta degli atri.

Secondo quanto pubblicato recentemente sul sito di un’altro scrittore bosniaco, ormai di fama mondiale Miljenko Jergović, con il titolo significativo “Lift koji optužuje pisca” ( L’ascensore che denuncia lo scrittore)  risulta che il nome, scelto dallo stesso autore  Darko Cvijetić, per il suo ultimo libro  che ha già suscitato molto interesse e ha raccolto molte critiche positive, potrebbe portarlo in tribunale.

L’autore

Prima di arrivare al caso in fase di diventare vicenda giudiziaria vorrei dedicare qualche riga in più a favore di Darko Cvijetić.

Anche se a tanti può sembrare il fatto irrilevante io vorrei esprimere la mia piena ammirazione di fronte a quest’uomo che dedica così tanto alle vittime innocenti di Prijedor. Non si stanca, richiamando in certo senso, la popolazione a ripensarci, accettare e elaborare i fatti del conflitto in modo onesto e umano. Non accusa ma chiede la catarsi. Per poter vivere di nuovo e per togliere l’enorme peso di negazionismo dalle future generazioni. E’ vero. Ci sono anche gli altri, tra cui si “impone” il nome di ormai famoso Miljenko Jergović, ma Cvijetić è uno dei pochissimi che agisce dal suo indirizzo storico. Jergović non è mai tornato realmente in Bosnia e a Sarajevo. Nei loghi dai quali partono tutte le sue storie di successo mondiale. Invece, Darko Cvijetić vive ancora a Prijedor, nello stesso edifico, in stesso appartamento ed è così audace di scrivere le poesie, romanzi e le sceneggiature per gli spettacoli teatrali, tradotti spesso nelle lingue più parlate al mondo, e dedicati alle vittime della minoranza odierna di Prijedor.

Oggi il suo pubblico lo conosce soprattutto come autore di poesia. La sua poesia del dopoguerra è caratterizzata da alcuni argomenti di cui scrive, a volte sembra quasi ossessivamente. Lascia volutamente che tutte le vergogne umane che hanno avuto luogo nella sua città natale diventino la cifra della sua testimonianza artistica e umana. Anche se non perde l’occasione di affermare di non credere che la poesia abbia alcun potere di fronte agli orrori dei stermini di massa non smette di scrivere molto spesso dei temi in cui il lettore senza dubbio riconosce la recente tragedia. I campi di concentramento di Prijedor, uccisioni dei civili o fosse comuni che custodiscono i segreti dei crimini di cui non si vuole parlare. Insomma, Cvijetić non smette di toccare i punti dolenti, evitando di nominare le persone e i luoghi però lasciandoci disarmati di fronde alle evidenze difficili da non vedere e da non sentire. Riesce ad arrivare anche al teatro, come regista e drammaturgo e non si defila nemmeno quando c’è da mettere i piedi sul palco.

“Da solo contro tutti”; si direbbe.

Schindlerov lift

Mi sembra dovuto dire che con il romanzo “Schindlerov Lift” pubblicato da Buybook nel 2018, non ha minimamente tradito le proprie scelte di raccontarsi come essere umano e come artista. Nel libro di appena 90 pagine, con un secolo raccontato dentro però, Cvijetić ha raccolto le storie di un grattacielo rosso di Prijedor dove si è trasferito nel 1974 e ancora ci vive. Lì ha assistito a quasi tutto. Dai matrimoni e battesimi alle feste religiose e quelle statali. Amori, litigi e funerali per arrivare alla fine a vedere delle brutali uccisioni. I vicini che ammazzavano i primi vicini.  Una volta testimoni di nozze, compagni di squadre sportive, amici ai quali si giurava la fedeltà fino alla morte. Tante volte era proprio “la fedeltà fino alla morte”.

Come da lui detto in una delle occasioni; “le storie che ho scritto in 23 giorni le ho già 23 anni in gola”.

Con quale idea esatta e quanto Cvijetić ha “sfruttato” il potenziale simbolico dello straordinario capolavoro cinematografico di Steven Spielberg “Schindler’s List” (La lista di Schindler) dando al suo ascensore lo stesso nome metaforico, sarà il futuro a giudicare. Se qualcuno ha pensato che nel grattacielo di Cvijetić l’ascensore fosse stato realmente prodotto dalla azienda “Schindler” si sbaglia.  Quell’ascensore, ormai incriminato, è stato prodotto da un’azienda belgradase David Pajić – DAKA.  L’autore non nasconde che il titolo gli è stato suggerito da Selvedin Avdić, uno scrittore bosniaco di Zenica e che l’eventuale scelta di intitolare il libro “L’ascensore di David” oggi potrebbe dare fastidio a qualcuno. A prescindere dal titolo del romanzo e dalla scelta di “ribattezzare” l’ascensore come un prodotto della “Schindler”, tutta la tragedia raccontata nel libro gira in realtà intorno a lui e ad un episodio accaduto proprio nell’ascensore in cui perse la vita una bambina, Stojanka Kobas, in modo dei più orribili che possiamo immaginare. La bambina e la sua famiglia si era appena trasferita in uno dei appartamenti dell’edificio. La corrente elettrica in quella stagione mancava anche per diversi giorni e poi ritornava improvvisamente e per poco. La bambina si era abituata a giocare nell’ascensore di cui la porta spesso rimaneva aperta. Quel giorno la corrente tornò all’improvviso. Per un’ora o due. Qualcuno chiamò l’ascensore. Mentre la bambina spintasi fuori attraverso l’apertura della porta chiamava le amiche l’ascensore si avviò.

Era la primavera del 1992.  Pochi giorni prima che a Prijedor si scatenasse il putiferio infernale la tragica fine di una vita di soli sei anni innocente fino ai cieli restò dimenticata. Già il giorno dopo cancellata da altri eventi più grandi e più gravi.

Cvijetić attraverso questo edifico, scherzosamente chiamato da un postino molto prima della guerra “paesino verticale”, racconta prima di tutto la Jugoslavia e tutti i suoi paesini e borghi verticali (etnicamente puliti non esistevano) che da luoghi di convivenza e tolleranza sono diventati le scene dei crimini inspiegabili. Lo racconta anche in una delle interviste rilasciate a portal novosti.

Pur avendo raccolto le critiche molto positive, un premio letterario “Fric” (Fritz, il soprannome dello scrittore croato Miroslav Krleža), tante recensioni che lo mettono a fianco dei scrittori molto più grandi e coraggiosi nella lotta di raccontare il passato recente a tutti e onestamente, quanto raccontato nel romanzo “Schindlerov Lift”, tanti credevano fosse finzione. Soprattutto la parte che racconta la tragica morte della piccola Stojanka. Dovette stesso Cvijetić ribadirne la veridicità in un’intervista aggiungendo un dettaglio agghiacciante.

Cvijetić raccontò che dopo aver terminato di scrivere il romanzo si mise a cercare qualcuno dei familiari della piccola vittima. Trovò la sua madre in un villaggio a vivere nelle condizioni della estrema povertà.  Dopo essersi accertato della sua identità le fece una domanda la cui risposta fu straziante, distruttiva fino ad essere difficilmente spiegabile soltanto come una fatale coincidenza.  Chiese alla signora che cosa sapesse della tragedia a lui ancora sconosciuto. La madre gli rispose che a chiamare l’ascensore fu un certo signore del nono piano che l’autore crede di conoscere.

Concludo la storia con la notizia accennata all’inizio. Secondo quanto pubblicato sul sito dello scrittore Miljenko Jergović in data 25 .03 2020, basato sulla lettera inviatagli dallo stesso Darko Cvijetić qualche giorno prima, all’indirizzo dell’editore di libro in Germania e all’indirizzo dell’abitazione del autore è arrivata la lettera, anzi diversi documenti in lingua tedesca, di carattere abbastanza minaccioso. Nella lettera scritta dal team degli avvocati della azienda svizzera “Schindler” che produce gli ascensori, datata poco dopo dell’intervista di Cvijetić rilasciata alla testata giornalistica tedesca “Spiegel” si precisa che i loro prodotti, di nicchia nel settore, non sono delle ghigliottine e che non hanno niente a che fare con L’Olocausto o la guerra in Bosnia e Erzegovina.  Per il momento i rappresentanti legali della rinomata azienda svizzera dall’autore e dall’editore chiedono “spiegazioni valide” sul fatto di aver scelto il nome del loro prodotto come titolo del romanzo prima di un possibile epilogo giudiziario. Il suddetto romanzo in lingua tedesca non è ancora disponibile sul mercato.

Speriamo abbiano letto il romanzo prima di avviare questo intervento macchinoso”, concordano Cvijetić e Jergović nel loro commento.

IL RESTAURO DEL PRIMO MURALE A PRIJEDOR

IL RESTAURO DEL PRIMO MURALE A PRIJEDOR

GIOVANI DI PRIJEDOR HANNO RESTAURATO IL PRIMO MURALE NELLA LORO CITTA’

(Dal portale prijedordanas.com, 30 aprile 2018)

Le sei ragazze giovani di Prijedor: Lorena Mirković Lovrić, Dajana Bilbija, Marija Marin, Katarina Pašagić, Nataša Bubalo e Isidora Dobrijević, che frequentano la scuola di pittura di Boris Eremic, il presidente dell’Associazione artisti di Prijedor, insieme a lui hanno restaurato il primo murale di Prijedor.

Infatti, nel mese di ottobre dello scorso anno, delle persone sconosciute, sul murale situato sulla scuola elettrotecnica di Prijedor, hanno disegnato contenuti inappropriati e lo hanno danneggiato irrimediabilmente.

foto 6Il primo murale di Prijedor, opera di Paola de Manicor, deturpato l’anno scorso da ignoti

Questo murale è l’opera dell’artista italiana Paola de Manincor, disegnato nel 1998 insieme ai bambini dei centri profughi di allora.

“I murales sono diventati una delle principali attrazioni turistiche di Prijedor perchè numerosi ospiti della nostra città si fotografano proprio davanti ad uno di essi. Per tutto ciò, abbiamo deciso di investire il nostro talento, il tempo e il nostro amore ed entusiasmo in questo restauro. Abbiamo tentato di rispettare l’espressione originale dell’artista, però abbiamo aggiunto anche una piccola parte di noi stessi in tutto questo perché Prijedor resti degna del titolo Città dei murales” – ha detto Boris Eremić.

Secondo le sue parole, il progetto di restauro è stato sostenuto dalla Città di Prijedor e Associazione Progetto Prijedor di Trento.

Ricordiamo che, in ommaggio all’artista Paola de Manincor e con il sostegno di donatori italiani, attraverso il concorso “Prijedor, città dei murales”, fino ad oggi sono stati realizzati 5 murales e tra poco verrà pubblicato il concorso per il sesto murale, l’unico di questo tipo nel sud-est europa.

Il restauro del murale ad opera delle giovani studentesse di Prijedor

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Il murale dopo il restauro

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La squadra di lavoro

(Clicca sulle foto per ingrandirle e vedere le fasi del restauro)